UNA SERATA AL LAGOMAR DI LANZAROTE

UNA SERATA AL LAGOMAR DI LANZAROTE

Un aperitivo a La Cueva, celebre bar del più ampio complesso turistico e museale LagOmar, realizzato dal famoso architetto César Manrique in uno dei numerosi crateri dell’isola.

Ispirazioni a Lanzarote

Forse è leggenda o forse un’insolita realtà… si narra che nel 1973, mentre l’attore Omar Sharif era alle prese con il film “L’isola misteriosa e il capitano Nemo” di Juan Antonio Bardem, rimase affascinato da questa stupenda casa, incastonata tra i resti di lava vulcanica e costruita dal celeberrimo architetto César Manrique. L’attore, innamoratosi dell’edificio come tutti noi, lo acquistò immediatamente, per perderlo qualche ora dopo ad una partita di bridge. Negli anni ’90 la casa fu ampliata fino a diventare LagOmar, un complesso di circa 7000mq di cui oggi fanno parte un ristorante, un bar ed un museo.

Come forse direbbe Hillmann ne Il codice dell’Anima, Omar Sharif è stato un uomo che non ha avuto paura di lasciar entrare il daimon nella sua vita, sorgente invisibile di creatività eccezionale, ma anche di comportamenti fuori dal comune che la diagnostica corrente riporterebbe a problematiche di dipendenza e discontrollo degli impulsi (visti anche gli episodi che hanno visto l’intervento della polizia), dove la salvaguardia della normalità – che altro non è che una curva statistica – diventa limite alla possibilità di cogliere l’essenza e vivere l’esperienza nelle sue sfumature o vertigini emozionali.

Non ho la minima idea (espressione che con l’età dico sempre più spesso) se la metafora della ghianda (che è una pianta completa in embrione) proposta dall’autore sopracitato sia plausibile per decifrare il carattere, la vocazione o il destino di una persona, tuttavia qualcosa conosco rispetto alla vocazione delle persone “della via di mezzo”, la vocazione dell’equilibrio e dell’armonia dell’uomo, la rinuncia a spendersi per diventare esseri eccezionali e speciali, che la nostra società liquiderebbe con faciloneira ponendole nella categoria della mediocrità.

Diventare la “migliore versione di sé stessi” implica spesso una rinuncia all’eccitazione di immagini preconfezionate di successo. Raggiungere l’essenza più profonda di sé è un percorso reale dove semplicità e presente acquistano consistenza e danno consistenza a sé e all’altro in relazione con noi.

Oltre lo scalpore e il bagliore del successo c’è la traccia silente che sa di eternità.

“La vocazione diventa una vocazione alla vita, anziché essere immaginata in conflitto con la vita. Una vocazione all’onestà invece che al successo, al prendersi cura dell’altro e con l’altro, al servire e lottare per amore della vita” (J. Hillman, 1996).

Bibliografia: Hillman J., Il codice dell’Anima (1996), Adelphi, Milano.

Immagine: fotografia scattata ad agosto 2018- suggestioni notturne al LagOmar