L’ATTESA, UNA DIMENSIONE TRA ANSIA E SPERANZA

Attesa, una dimensione tra ansia e speranza

Attesa, una dimensione tra ansia e speranza

E. Minkowski fa riferimento all’attesa come opposto di attività.

Mentre nell’attività noi tendiamo verso l’avvenire, nell’attesa abbiamo una percezione del tempo in senso inverso, ovvero vediamo l’avvenire venire verso di noi e attendiamo che questo avvenire diventi presente.

Questa condizione rende l’attesa poco gradevole, carica di ansia, dimensione in cui sentiamo di non avere il controllo della situazione… ci sentiamo in balìa dell’imprevedibilità.

Ciò è soprattutto vero quando siamo in attesa di un referto medico, del voto di un esame all’università o quando una nostra condizione di vita è subordinata alla scelta di un altro individuo.

“Quando l’attesa diventa processo positivo e facilitante?”

Durante un colloquio di psicoterapia, ma anche in qualsiasi relazione in cui sia presente la condizione che C. Rogers definisce “accettazione positiva incondizionata”, l’attesa si spoglia di attribuzioni che la vogliono sorella di impotenza e di passività, per diventare luce che illumina il fiore che sta per schiudersi del quale si ignorano ancora le qualità.

Durante un incontro, la possibilità di mettere in atto l’“accettazione positiva incondizionata” significa realizzare un livello alto di rispetto e fiducia nei confronti della persona che sta di fronte a noi, che si dà il permesso di esplorarsi creativamente e di emergere per ciò che è realmente, con i propri limiti e con le proprie potenzialità per certi versi uniche e sorprendenti.

“E’ di facile applicazione l’accettazione positiva incondizionata?”

Questo clima di assenza di giudizio unito a speranza è una condizione facile nella sua definizione, ma difficile nella sua applicazione, che richiede un lavoro su di sé di molto tempo e di molto coraggio.

Ma ne vale la pena!!!

Tutti abbiamo infatti pagato un prezzo al fine di diventare “un bravo bambino, una brava bambina”. Abbiamo affinato la nostra capacità di cogliere i bisogni e le richieste altrui, mettendo tuttavia a tacere i nostri sentimenti più spontanei (rabbia, paura, gelosia, invidia…).

Solo la possibilità di poter guardare la nostra ferita, di poter esprimere il dolore e la rabbia per non essere stati visti e supportati a sufficienza apre uno spiraglio alla riconquista del nostro vero Sè.

Solo questo passaggio, che richiede gradualità e sviluppo di amor proprio, ci consente di poter comprendere in maniera profonda il valore dell’accettazione e di poterla condividere generosamente con un’altra persona che presenta il nostro stesso desiderio di crescita.

BIBLIOGRAFIA

Minkowski E., il tempo vissuto (1971), Einaudi, Torino.
Rogers C. R. (1970), La terapia centrata – sul – cliente, Martinelli, Firenze.