Dedicato alle ragazze/educatrici dell’asilo nido comunale di Monterosso (Abano – PD), alla condivisione profonda, all’apertura agli affetti durante il nostro incontro relativo al “Burnout e Prevenzione”.
Ringrazio il filosofo contemporaneo Pascal Chabot, per il suo libro “Burnout Globale. La malattia del secolo” per avermi aiutato a riflettere sul tema del Burnout come specchio della società odierna.
Questo breve articolo ha l’intento di riparare all’imbarazzo scaturito dall’aver dedicato un tempo molto ridotto alla fase “soluzioni, trattamento e prevenzione del Burnout” per inadeguata gestione del tempo di formazione comportandomi esattamente come i libri da me consultati sull’argomento, ovvero specifici e approfonditi nella definizione del problema e delle sue cause ed elusivi e sintetici sui tentativi di fornire delle soluzioni e linee guida.
Come indica il termine, il Burnout è la malattia del fuoco, è la malattia del nostro fuoco interiore, che se non adeguatamente gestito può diventare devastante quando il “troppo” caratterizza la nostra vita professionale (troppo lavoro, troppi conflitti, troppo coinvolgimento, troppo perfezionismo, troppo idealismo…).
Partiamo quindi buffamente dalla fine, ponendoci la fatidica domanda:”Si può guarire dal Burnout?”
Ed arriviamo ad una risposta meno scontata, ovvero “Dal Burnout non si guarisce semplicemente perché non è una malattia, non é una reazione depressiva (anche se una parte delle manifestazioni esteriori lo potrebbe far pensare)”
“Dal Burnout si re- agisce, perché è una reazione disadattativa di fronte allo stress lavorativo in ambito sociale, educativo, sanitario e gli interventi prevedono un’azione congiunta sulla persona e sul contesto organizzativo, al fine di ridurre la discrepanza tra richieste aziendali e caratteristiche/attitudini/valori dell’individuo.”
Ma il Burnout riguarda soprattutto un’esperienza che racchiude una possibilità di metamorfosi, nel senso di possibilità per l’individuo (e perché no, anche per l’azienda) di maturare una responsabilità nella salvaguardia del benessere (di tutti) ed elaborare obiettivi più realistici facendo cadere le illusioni tipiche di chi sceglie una professione di aiuto. Per cui la reazione al Burnout va intesa anche in senso evolutivo, come una difficoltà che ci dá un’opportunità di diventare più resilienti, imparando soprattutto l’equilibrio, l’autoregolazione.
Dal momento che le ricerche attualmente hanno messo in rilievo come non sia possibile realizzare un’immunità per questo fenomeno (qui il vaccino non ce l’abbiamo!?!) è chiaro che l’azione preventiva rappresenta la strada preferibile, in termini di successo e costi sanitari. In particolare l’intervento preventivo deve riguardare azioni che consentano la sintonizzazione massima tra individuo e richieste organizzative, da monitorare nel tempo, al fine di poter realizzare un equilibrio tra esigenze aziendali e salvaguardia della tanto cara dimensione umana.
Ma l’invito è anche per ogni singola persona a diventare responsabile – abile a rispondere – del proprio benessere, per mantenere o ripristinare l’equilibrio psico – fisico, facendo affidamento sui messaggi che ci arrivano dal nostro corpo – mente.
L’ascolto del corpo ci aiuta sapientemente a trovare una mediazione tra fatica e attività, ci mette in contatto con i nostri bisogni, ci aiuta a sviluppare una dedizione equilibrata verso le necessità della gente. Il corpo ci aiuta a trovare equilibrio nella vita, a 360 gradi.
L’ascolto della mente ci aiuta a non cedere agli inganni e agli autoinganni che il nostro linguaggio produce al servizio di un sistema con richieste assurde, che mirano ad un perfezionismo sterile che toglie ossigeno a ciò che ancora abbiamo di umano. Basti pensare ai concetti di stress positivo (eccessivo lavoro), flessibilità (cambiamenti continui di mansioni), reperibilità (teniamo il cellulare acceso anche di notte), connettività (rispondere a tutte le richieste repentinamente).
E torniamo al caldo incontro con le ragazze/educatrici del nido e al loro metodo di lavoro con i più piccoli, che seguendo il coraggioso modello dei moderni asili nido di Berlino, riporta i bambini a rimanere più in contatto con la natura e a valorizzare le sensazioni di piacere e la creatività che scaturiscono dai giochi e dalle attività proposte, riducendo nuovamente l’importanza della prestazione, del risultato (allora forse stiamo imparando qualcosa dai nostri errori?) in favore del processo. È un concetto che ritrovo nell’espressione “l’utilità dell’inutile” del filosofo cinese del III sec. A. C. Tchouang Tse, ovvero attività che non hanno l’obiettivo di produrre qualcosa o di risparmiare tempo, ma che ci aiutano a ritrovare la nostra innata vitalità.
Per cui, nulla di nuovo, ma cicli in cui persone e civiltá nascono, si evolvono, regrediscono e spariscono…
Cicli in cui persone e civiltá portano avanti una danza tra progresso tecnologico ed umanità, nella ricerca continua dell’equilibrio del funambolo che passo dopo passo avanza sulla corda appesa parte parte.